Archeologia

Il territorio di Pozzuolo è sede di due "Castellieri", siti posti su alture utilizzate come cinte difensive, delle quali sono ancor oggi ben visibili ai margini dell'altura le opere di fortificazione. Le sponde del fossato perimetrale furono più volte consolidate con un complesso sistema di pali e ciottoloni onde evitare il franare dei pavimenti delle abitazioni a causa delle infiltrazioni di acqua piovana. In queste zone, l'Università di Trieste, affiancata dalla Soprintendenza Archeologica del F.V.G. e dall'Ecòle Francaise di Roma, hanno rivelato l'esistenza di un insediamento che a partire dall'età del bronzo, è perdurato anche se non linearmente, fino all'alto Medio Evo. Il villaggio principale era sito sull'altura detta "dei Cjastiei", in questa zona sono stati ritrovati oggetti di bronzo, matrici di arenaria per la fusione di piccoli attrezzi anche ornamentali e una cospicua quantità di corna di cervo, di capra e di bue grezze o in corso di lavorazione. Nelle vicinanze delle case si trovavano officine di lavorazione dei metalli, botteghe per la lavorazione delle ossa e delle corna, utilizzate a completamento degli oggetti in metallo. All'interno delle abitazioni altro lavoro era costituito dalla filatura e la tessitura, testimoniate dal ritrovamento di utensili quali ciambellette e fusaiole di terracotta. Nelle vicinanze del castelliere il primo rilevamento del 1978, ha portato alla luce una tomba a cremazione del VII-VI secolo a. C. nella località detta "Braida Roggia", in prossimità della riva destra del torrente Cormor. Tale località non faceva propriamente parte di un villaggio, ma il rilievo di buche per l'impianto di pali probabilmente a sostegno di tettoie, fa pensare che la zona fosse un settore destinato a servizi, o attività di preparazione del cibo rimasto in uso dal XIII al X secolo a.C., allorquando un'inondazione del torrente Cormor particolarmente disastrosa causò l'abbandono di Braida Roggia. Fu riutilizzata solo tra il VII e VI secolo a.C. allo scopo di necropoli.

Archeologia

Verso sud-ovest si trova il "terrazzo di Cùppari" una zona di particolare interesse archeologico posto al di fuori dell'area fortificata. Vi si sono trovati resti di dieci fosse scavate tra il VII e il VI sec. a.C. Verso l'estremità meridionale dell'area si sono rinvenute anche alcune sepolture altomedievali di inumati, due delle quali poste sul riempimento delle fosse protostoriche. Nelle fosse si sono rilevati ciottoli e frammenti di vasi e altri oggetti d'argilla poco cotta, i cosiddetti "concotti", ma anche resti ossei di bovino parzialmente bruciati e piccoli ornamenti di bronzo (fibule e pendagli). Per alcune di queste fosse si ipotizza fossero una specie di cantine di abitazioni, in epoca successiva furono probabilmente utilizzate quali forni di cottura per oggetti di terracotta o per la cottura o l'essiccazione della carne bovina.

 

Meglio dell'insediamento documentano circa gli usi e i contatti degli abitanti, le necropoli sparse attorno al villaggio. Sono stati identificati ben quattro cimiteri di incinerati, posti nelle aree pianeggianti ai piedi dei Cjastiei. Nella necropoli di sud-ovest sono state individuate circa 200 sepolture dell'età del ferro (fine del VIII sec. a.C. e inizio del V sec. a.C.). Le ossa combuste venivano poste in piccole buche scavate nel terreno probabilmente all'interno di contenitori di materiale deperibile o in vasi di terracotta detti "dolio". I corredi erano costituiti da oggetti di bronzo di uso personale. Per gli uomini soprattutto spilloni a testa conica o fibule, per le donne fibule, braccialetti e pendagli, ma talvolta anche oggetti di filatura (fusaiole fittili), nelle tombe maschili talvolta si sono ritrovate anche corredi d'armi o utensili in ferro. L'uso di armi in ferro nelle tombe accomuna il Friuli alle regioni d'Austria e Slovenia e costituisce uno degli elementi più caratteristici della cultura friulana dell'età del ferro, periodo in cui il villaggio godette di una certa prosperità grazie alla sua favorevole posizione attraversata da vie di traffico che congiungevano territori alpini nord-orientali col mondo veneto e con l'Italia padana e peninsulare. La possibilità dell'approvvigionamento di materie prime consentirono un artigianato abbastanza fiorente e una cultura dagli aspetti variegati che durò fino all'epoca romana. Nel tessuto sociale si distingue una classe di guerrieri che probabilmente erano anche artigiani, ma la mancanza di oggetti di prestigio, quali vasi in bronzo decorato a sbalzo fa intuire la scarsa articolazione sociale dell'insediamento.

 

In epoca romana (tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.) avvennero interventi particolarmente devastanti che hanno altresì comportato il riutilizzo del sito mediante una completa e radicale ristrutturazione dello stesso. Fu eretta probabilmente una fattoria con la costruzione di magazzini per derrate alimentari, mentre la parte interna venne adibita alla coltivazione.

La zona di Pozzuolo, nel periodo romano assume particolare interesse grazie al passaggio costituito dalla strada che da Marano Lagunare saliva attraverso Castions di Strada. Questa strada, certo molto antica, assume importanza soprattutto nella fase di trapasso dalla cultura veneta a quella romana e quindi nel periodo bizantino-longobardo, ovvero nel periodo in cui i centri costieri erano maggiormente fiorenti. Successivamente alla fondazione di Aquileia (181 a.C.) ebbe inizio una complessa serie di fenomeni che attraverso più generazioni comportarono il fondersi di elementi culturali e materiali appartenenti a popolazioni diverse influenzandosi reciprocamente. Lo testimonia la presenza a Pozzuolo di manufatti e materiali come la ceramica grigia, la vernice nera di buona qualità di provenienza dalla cultura materiale veneta. Numerose e di notevole importanza sono anche le monete rinvenute a Pozzuolo del Friuli. Nel mondo antico la loro circolazione poteva durare anche secoli dopo la coniazione in quanto il loro valore era intrinseco e costituito più propriamente dallo stesso valore del materiale con cui venivano realizzate. Tra i vari tipi di monete rinvenute vi è il gruppo degli assi repubblicani, coniati nel II e anche nel I sec. a.C. in circolazione fino al primo periodo imperiale. Di grande importanza la presenza di dracme venete. Fortemente suggestiva l'ipotesi suggerita dal ritrovamento di un tesoretto di dodici dracme che a Pozzuolo si trovassero dei mercenari verso la fine del II sec. a.C. La presenza romana è testimoniata anche dalle parti metalliche conservatesi dell'abbigliamento. In nessun altro luogo del territorio friulano infatti è stata ritrovata una così consistente quantità di fibule così indicativa dei fenomeni legati alla romanizzazione.

 

 

Sammardenchia

 

Di particolare importanza nel territorio di Pozzuolo del Friuli, è la seconda metà del V millennio A.C. con l'avvento del Neolitico, allorquando l'area friulana, area cruciale posta sui tragitti dei nuovi colonizzatori del nord Europa, è ambiente di particolari mutamenti economici e culturali che mutano il modo di vivere dei precedenti colonizzatori formati da gruppi di raccoglitori - cacciatori mesolitici (8000 - 4500 a. C.). Si diffonde allora l'agricoltura e l'allevamento, da parte di comunità stanziali giunte dall'area danubiana e dai Balcani occidentali, con la conoscenza dell'uso della ceramica e di strumenti in pietra levigata. Tra i nuovi villaggi così formatisi in Friuli il più importante per estensione e ricchezza di reperti è senz'altro quello di Sammardenchia, ove sono stati raccolti oltre 300.000 manufatti in selce scheggiata, 250 asce e accette in pietra levigata e frammenti ceramici, su un'area di oltre 600 ettari, che con centro a Sammardenchia occupa un'ampia parte del territorio circostante formando uno dei più vasti insediamenti neolitici fino a oggi noti in Europa.

 

Le ricerche partirono nel 1985 con l'apporto dell'Università di Trento e del Museo Friulano di Storia Naturale di Udine, con il sostegno finanziario dell'Amministrazione Comunale di Pozzuolo del Friuli. Tra i primi reperti un centinaio di pozzetti-silos per l'immagazinamento di derrate agricole nella zona detta "i Cueis", dove venivano immagazzinati i semi, successivamente trasformati in farina mediante macine in pietra. L'attività agricola del periodo comprendeva il disbosco mediante colpi d'ascia e probabilmente incendi provocati, realizzando poi campi di farro e orzo. L'allevamento, altra principale fonte di cibo, era realizzato all'interno di zone cintate fitte siepi spinose di "Pomoideae".

 

L'alimentazione generale delle popolazioni comunque veniva probabilmente integrata anche con l'uso della caccia. La ricomposizione dei reperti ceramici comprova la ricchezza del gusto decorativo delle popolazioni e lo scambio di merci con altre popolazioni anche molto distanti. Si sono ritrovati infatti vasi di cultura padana di Fiorano e sintassi decorative con affinità centrodanubiane (Ungheria), si sono inoltre rilevati rapporti con la cultura dalmata e materiali provenienti dai Carpazi, dal Veneto orientale, dal Piemonte.