PITTURE E SCULTURE A POZZUOLO DEL FRIULI

di GIUSEPPE BERGAMINI

Ancona Lignea di Domenico da Tolmezzo
Chiesa di San Michele
Carpeneto

La scarsa conoscenza delle vicende che interessano il territorio di Pozzuolo del Friuli dall’epoca romana a tutto il medioevo è determinata anche dalla mancanza di testimonianze relative alla cultura figurativa del periodo: solo alla fine del secolo XV risale infatti la prima memoria documentarla riguardante un artista. E' quella del 5 ottobre 1481 che ricorda come l'orefice Giacomo Cavalcanti da Udine dovesse ricevere da tal reverendo Pietro, beneficiato in Carpeneto, la somma di 20 soldi per l'indoratura di certi cingoli. Non è tuttavia da credere che in tempi precedenti chiese ed edifici fossero sguarniti di pitture o sculture, ma di quanto pur dovette esistere, oggi rimangono solo alcuni lacerti di affreschi nella chiesetta campestre di Ferraria, raffiguranti Gesù Cristo e gli Apostoli nell'absidiola e, nell'arco trionfale, le rovinate figure dell'Annunciazione e di due Santi. All'epoca in cui da parte della Soprintendenza vennero effettuati i lavori di restauro, sotto l'Arcangelo Gabriele si rinvennero, come si legge nella pubblicazione edita nell'occasione – minuscoli frammenti di una Crocifissione coperti da un intonato recente di cemento; però, dopo il lungo lavoro di rimozione i frammenti scoperti caddero in terra sbriciolandosi.

Potevano risalire all'epoca romanica (la forma dell'abside è infatti quella tipica delle chiesette friulane coeve) e costituire pertanto la testimonianza pittorica più antica del comune insieme con il frammento di affresco (una mano) della parete di sinistra della chiesetta di S. Daniele a Zugliano. La Madonna e Gabriele paiono doversi datare al XV secolo ed appartenere a quella scuola friulana che stempera le asprezze del gotico con una linea di contorno leggera ed espressioni suadenti. E' Domenico da Tolmezzo il primo artista di vaglia a comparire nella storia artistica di Pozzuolo: il suo nome è legato ad un documento steso il 4 ottobre 1483 che impegna la confraternita dei Ss. Sebastiano e Rocco di Zugliano a pagare 8 ducati a m° Domenico pittore per una generalmente ritenuta opera di statua di S. Rocco in legno dipinto; lavoro del quale non è rimasto, come di tanta scultura lignea rinascimentale, alcuna traccia. E' invece fortunatamente giunta a noi, ed anzi in tempi recenti splendidamente restaurata tanto da essere pienamente leggibile nella nuova collocazione datale all'interno della chiesa parrocchiale di Carpeneto, la bella ancona lignea attribuita a Domenico da Tolmezzo, datata ai primissimi anni del XVI secolo e fino a poco tempo fa conservata nella chiesa di S. Michele in cimitero.

Domenico Mioni, meglio conosciuto come Domenico da Tolmezzo, vissuto tra il 1448 ed il 1507, fu com'è noto pittore e intagliatore ed è considerato soprattutto in virtù dei polittici lignei di Invillino, Zuglio Illegio Forni di Sopra - il miglior scultore ligneo del Friuli, iniziatore della grande stagione rinascimentale. Per tali motivi, la critica ha espresso qualche riserva nell'accettare la sua paternità per l'ancona di Carpeneto, generalmente ritenuta opera di bottega. Ma non c’è dubbio che il lavoro appartenga al maestro, se pure con l'aiuto - del resto comprensibile per opere del genere - della bottega e del figlio Giovanni in primo luogo. L'altare, che si conserva ancora entro l'originario cassone ligneo – caso unico in Friuli essendo andati sciaguratamente distrutti gli altri consimili ad esempio quello che conteneva il notevole polittico di Giovanni Martini nella chiesetta di S. Stefano a Remanzacco – si compone di una struttura architettonica nella quale si aprono sei nicchie in due ripiani: le due centrali, sopraelevate rispetto alle altre, contengono le figure della Madonna con Bambino e di S. Michele; le laterali quelle dei santi Sebastiano, Rocco, Giacinto e Vincenzo. Pur senza eccessivo fasto, la struttura ripete quella dei polittici gotici con coronamento di fiamme, pinnacoletti e colonnine ed arricchiti da motivi decorativi ad archetti trilobi, a losanghe eccetera. All'interno delle nicchie, con arco a tutto sesto ad indicare il mondo rinascimentale più che quello gotico, si accampano le statue, isolate a tal punto da sembrare elementi di una inerte esposizione, solide e rispecchianti una tipologia umana che trovava riferimento nel territorio, cariche di una ieratica ed assorta individualità che esclude ogni forma di intimo colloquio. Più suggestiva l'immagine del S. Michele colto nell'atto di colpire con la spada il demonio, mentre con la mano sinistra pesa le anime: figura sulla quale si impernia l'intera composizione, che trova proprio nel gruppo ligneo della Madonna con Bambino, greve e quasi inanimato, il momento di minor felicità espressiva. Un altare comunque che dovette rappresentare per secoli l'orgoglio degli abitanti di Carpeneto i quali, preoccupati per il suo stato di conservazione, già nel 1653 lo avevano sottoposto ad un completo restauro affidato al prete-pittore Pietro Petrei (che fu parroco di Moruzzo e che tra le altre cose dipinse una affollata composizione con la SS. Trínità per la Pieve di Rosa nel 1684): per tale lavoro - come si legge in un Rotolo dell'Archivio parrocchiale – fu pagato in due riprese ben 100 lire, una somma considerevole che fa pensare ad un intervento di notevole impegno. Altro importante restauro si ebbe nel 1694 a cura di Matteo Drigani intagliatore di Udine (conosciuto soltanto per aver fatto nel 1696 l'antependio della Madonna di Corte a Dignano al Tagliamento) che costruì anche la mensa con due interessanti telamoni a rilievo ligneo sui fianchi. Anche il fratello di Domenico, Martino da Tolmezzo, egualmente pittore ed intagliatore, (ma di ben modesta qualità, a giudicare dall'unica opera rimasta, una Madonna con Bambino del 1498 nel Museo di Udine, proveniente da Orzano) lavorò in zona: intagliò per la chiesa di Pozzuolo un'ancona - andata poi perduta - che il 14 dicembre 1503 due artisti abitanti in Udine, il veneziano Giacomo Moranzone e il sanvitese Bartolomeo dall'Occhio, stimarono ben 170 ducati. E' facile pensare che potesse essere strutturata similmente a quella di Carpeneto, a uno o due ripiani con le statue dei santi venerati in paese. Secondo Giovanni Battista de Rubeis, pittore e "critico d'arte" udinese vissuto fra il 1743 ed il 1819, incaricato nel 1773 dai deputati della città di Udine di stendere un elenco di tutti i quadri "di celebri e rinomati autori" esistenti nel luoghi pubblici e privati di Udine (ma l'elenco si estende a qualche paese dei dintorni), nella chiesa di S. Giacomo in piazza a Pozzuolo vi erano quattro quadri della maniera di Giovanni Bellini, opera di Domenico da Tolmezzo: non ne rimane traccia. E' probabile che siano andati perduti qualche anno più tardi, quando la chiesa, che nel 1805 era stata soppressa in ottemperanza alle leggi napoleoniche, venne venduta dal Governo ed acquistata nel 1811 dal nobile Stefano Sabbadini per sole 436 lire.

Nella sua Storia di Pozzuolo del 1964 G.B. Masutti ricorda come il fabbricato, riparato e diviso in due piani, fu adibito prima a osteria, quindi a sede comunale, a scuola, a carcere provvisorio, a sede della banca ecc. Gli stessi Sabbadini, peraltro, nella cappella privata della loro abitazione (edificata nel 1707 dai primi proprietari del palazzo, i conti Treo di Udine), custodirono un quadro, oggi proprietà dell'Opera Pia, ma in deposito nel Museo Diocesano di Udine, che per altezza d'esecuzione è sempre stato ritenuto lavoro di pittore di buona mano. Giuseppe Bragato (che lo dice «inopportunamente restaurato» all'inizio del nostro secolo) lo assegna ad uno dei Procaccini, mentre Ruggero Zotti e G.B. Masutti pensano a Bernardino Luini, pittore lombardo (ca. 1480/90-1531) influenzato dalla poetica di Leonardo. L'opera - che apparteneva alla nobile famiglia Gradenigo di Venezia - raffigura la Madonna con Bambino circondata da angeli.

La Madonna del Pannolino di Bernardino Luini
di proprietà dell'Opera Pia Sabbadini,
ora in deposito al Museo Diocesano d'Arte sacra di Udine

E' familiarmente denominata la Madonna del pannolino, per via del panno che un angioletto sta stendendo sul ripiano ove la Madonna si accinge a deporre il Bambino. Malgrado i non felici ritocchi apportati da Arturo Collavini, pittore restauratore e copista, si presenta come lavoro di considerevole livello qualitativo, piacevole sia nella composizione giocata sul rapporto tra primi e secondi piani, sia nella trattazione delle singole figure dai volti dolci e dalle espressioni intense, sia nel delicati passaggi chiaroscurali. E' la replica di un dipinto su tavola di Bernardino Luini che si conserva al Louvre sotto il titolo de Il sonno del Bambino Gesù e che viene generalmente datato agli anni che seguono l'impegnativo ciclo d'affreschi del Santuario della Beata Vergine dei Miracoli a Saronno eseguito nel 1525. Il quadro di Parigi, che faceva parte delle collezioni reali di Luigi XIV, il Re Sole, è servito da modello per una copia conservata nella Cappella della Madonna di Loreto a Chiusa di Bressanone (Klausen), che la Ottino Dalla Chiesa giudica "diligente ma tarda, sporca, consunta e corrosa profondamente lungo tutto il perimetro". La replica di Pozzuolo, sconosciuta in ambito nazionale, induce a ben diverso giudizio. La recente pulitura infatti esalta la bontà del dipinto, che può essere assegnato alla mano stessa del maestro: del resto, come ricorda Masutti, già la contessa Gradenigo nel testamento lo raccomandava agli eredi non solo perché costituiva un caro ricordo del suo casato, ma anche per il valore intrinseco. Il quadro del Luini, entrato a far parte del patrimonio artistico di Pozzuolo del Friuli, non appartiene tuttavia alla storia del paese e non costituisce dunque elemento utile per la comprensione del gusto, della cultura, della spiritualità dei suoi abitanti nel secoli passati. Il senso della devozione che determinava scelte di vita e d'arte, la profonda fede che accompagnava ogni momento della faticosa realtà quotidiana di un tempo si ritrovano invece negli affreschi della chiesetta di S. Daniele a Zugliano ed in quelli dell'antica parrocchiale di S. Michele a Carpeneto, oggi chiesa del cimitero. In S. Daniele a Zugliano un ignoto pittore (o più pittori appartenenti alla medesima «cultura» figurativa) lascia sulle pareti della chiesa tre riquadri contenenti figure di santi spesso accompagnati da una scritta esplicativa contenente anche il nome del donatore: I Ss. Vescovi Gottardo e Biagio; S. Cristoforo e S. Bonifacio; S. Rocco e S. Lucia; S. Simone e S. Daniele.

I Santi Cristoforo, Bonifacio, Rocco e Luca
Chiesetta di San Daniele
Zugliano

Il primo riquadro, nell'arco trionfale, appartiene ad un insignificante pittorucolo che intorno al 1520-25 colloca sotto una grande croce due inerti e slavate figure di Vescovi. Di diverso tenore gli altri riquadri che vanno datati al 1510 e considerati lavoro quanto mai interessante - sul piano devozionale e storico, naturalmente - di un artista udinese vicino ai modi di Gian Paolo Thanner (con il quale anzi può confondersi), forse lo stesso che affrescò anche la chiesetta di S. Stefano di Buttrio nel 1533. Un pittore dalla forte personalità, capace di sentire gli umori popolareschi e di tradurli in immagini con un linguaggio facilmente accessibile che in alcuni episodi si fa coinvolgente a livello emotivo: è Il caso ad esempio della figura di S. Daniele, frontale, bloccata nel movimento, con una mannaia in mano ed un rotolo nell'altra. Sul copricapo è dipinta la chiesetta a lui intitolata; a terra si accucciano due leoni "umanizzati" mentre in un angolino a destra è raffigurato, in ginocchio, con accanto la zappa, strumento di lavoro, Battista di Giuliano di Porpetto, il donatore-contadino. Recita la scritta sul margine inferiore dell'affresco: questo sancto Daniel afato depenzer Batista de Zulian de propet per sua devocion. Sotto il S. Simone (lui pure accompagnato dall'immagine del donatore, che la presenza di un arco e di una freccia fanno ritenere cacciatore): Questo S. Simon a fato far Simon de Çuian per sua devocione 1510. Sotto S. Cristoforo si legge Questo S. Cristofol a fato far Iacom de Toni drii per sua devocion 1510, mentre S. Bonifacio è accompagnato dalla scritta Questo S. Bonifaci Afato far Pauli del… dia per Sua devocion. Le figure sono dipinte con tecniche leggermente diverse, più riassuntive nella linea e giocate sul colore a zona quelle di S. Daniele e di S. Lucia, più elaborate quelle di S. Rocco e di S. Cristoforo (che insiste su un corso d'acqua ricco di improbabili pesci) e soprattutto di S. Bonifacio, il quale si apparenta con le allungate figure dei Ss. Ermacora e Marco dipinte da Domenico da Tolmezzo nella pala di S. Lucia per il Duomo di Udine (1479, ora nel Museo cittadino). Nel far conoscere questi affreschi e nel descriverli, il Marchetti - nel 1958 - denunciava la difficoltà di dare un nome a chi li aveva eseguiti: a quasi quarant'anni di distanza, non ci sono novità attributive. Vicino al fare di Gian Paolo Thanner, ma non con lui identificabile, è anche il pittore che affresca il coro della chiesetta di S. Michele al cimitero a Carpeneto, con l'Eterno Padre, gli Evangelisti e tre angeli nelle vele della volta, Storie evangeliche ed Apostoli nelle pareti, Profeti nell'intradosso e S. Floriano su un pilastro. Il disastroso stato di conservazione non impedisce qualche considerazione su una pittura che presenta momenti di apprezzabile libertà inventiva (negli Evangelisti entro nubi stratificate, ad esempio) accanto a brani di una modestia sconfortante (in alcuni Profeti). Il personaggio di S. Floriano, discretamente conservato, caratteristico per la foggia dei capelli, la forma delle labbra, e il virgulto da rabdomante che tiene in mano, permette di avvicinare questi affreschi a quelli delle chiese di S. Stefano a Buttrio, di S. Leonardo a Variano, della chiesa del cimitero di Palazzolo e di ipotizzare quindi l'esistenza di un pittore di ascendenza popolaresca operante tra il 1500 ed il 1535, discontinuo nello "stile" talora grossolano (il "ritratto" di re David ne è sufficiente riprova), che traduce con un linguaggio estremamente povero - anche sul piano tecnico - la pittura friulana facente capo a Pellegrino da San Daniele e che si pone, sotto certi versi, come l'alter ego di Gian Paolo Thanner. Un pittore capace tuttavia di esprimersi anche con accenti poetici, quali quelli presenti nella suggestiva Crocifissione con le contorte figure dei ladroni, e l'insolito bordo bianco a contrappuntare l'andamento sinuoso delle vesti della Madonna e di S. Giovanni. Da notare che sia nella Crocifissione che nelle figure di Santi sulla parete di destra affiorano tracce di pittura diversa; e nel bordo inferiore, sotto le figure degli Apostoli, si individuano chiaramente elementi di natura morta (una pera, una mela) che vanno datati - come ritiene anche Ruggero Zotti - alla fine del secolo XV. Di pitture e sculture del Cinquecento nel comune di Pozzuolo parlano i documenti pubblicati da Vincenzo Joppi e Gustavo Bampo: nel 1527 Pietro da S. Vito (Giovanni Pietro Albanese) fa un'ancona lignea per Terenzano (perduta), tra il 1562 ed il 1583 i Floriani eseguono alcuni lavori per Carpeneto, Cargnacco, Sammardenchia, Pozzuolo, nel 1592 Giovanni Antonio Agostini riceve soldi per opere fatte per Sammardenchia e Terenzano. Non è testimoniata però la presenza di Gaspare Negro, pittore veneziano (ma abitante in Udine e marito di Maddalena, figlia di Floreano delle Cantinelle e quindi zia di Francesco Floreani) cui si deve una tela oggi nella sacrestia della parrocchiale di Carpeneto raffigurante la Madonna in trono con il Bambino tra i SS. Agnese e Antonio abate, databile al 1530-1540 circa,

Gaspare Negro
Madonna con Bambino e Santi
Carpeneto, Parrocchiale

costruita secondo lo schema consueto a soggetti di tal genere, con le figure ambientate entro un'abside rinascimentale disegnata con buona proprietà (non va dimenticato che il pittore fu anche «architetto»: a lui si deve il disegno - 1512 - per la facciata e il campanile della chiesa di S. Maria di Castello in Udine). Un salutare restauro potrebbe permettere di meglio leggere il dipinto, che presenta colori vivaci stesi con esperta mano, morbido chiaroscuro nel volto della Madonna e ricordi precisi della pittura veneziana espressa da Giovanni Bellini e da Cima da Conegliano Di molto interesse la presenza dell'udinese Francesco Floreani, vissuto tra il 1515 circa ed il 1599, appartenente ad una delle più importanti famiglie di pittori e intagliatori friulani del Cinquecento, architetto, «ingegnere», oltre che pittore e scultore.

Francesco e Giovanni Floreani
I Santi Antonio Abate, Francesco e Caterina
Carpeneto
Parrocchiale

Abile seguace della maniera di Pellegrino da San Daniele, così come di Raffaello (conosciuto forse per il tramite di Giovanni da Udine), denuncia chiaramente nei suoi dipinti tali prestiti culturali. E' apprezzabile soprattutto per la dolcezza del modellato, la correttezza del disegno e la vitalità del colore. Dei lavori eseguiti nel 1562 a Carpeneto (un Crocifisso dipinto) e Cargnacco (un gonfalone) non resta traccia, così come della pala d'altare per Pozzuolo (1580), di un tabernacolo per Sammardenchia (1581) e di un'ancona ed un tabernacolo per Cargnacco nel 1585-1586. Si è persa anche la pala eseguita per la chiesa di S. Giorgio di Sammardenchia nel 1580, che qualche studioso identifica con quella esistente sulla parete sinistra della parrocchiale. Ma questa, anche se appare scarsamente leggibile per lo strato di polvere che la copre, pur tuttavia mostra un'esecuzione di gusto barocco, molto più tarda rispetto al periodo in cui lavorò Il Floreani. Raffigura S. Giorgio e il drago ed è di grande effetto per i colori cantanti, per i panni agitati dal vento, per il dinamismo che anima cavallo e cavaliere, per la soluzione compositiva che in parte ricorda il dipinto di eguale soggetto di Cesare Begni a Gradisca di Sedegliano.

Particolare della Pala con San Giorgio che libera la principessa dal Drago
Sammardenchia
Parrocchiale

Dovrebbe appartenere invece a Francesco Floreani e datarsi al 1581, quando il pittore lavorò per Carpeneto, forse in collaborazione con il nipote Giovanni, la tela rovinatissima che si conserva nella sacrestia della parrocchiale di Carpeneto, rappresentante S. Francesco tra S. Antonio abate e S. Caterina. Strutturata secondo uno schema piramidale consueto nella pittura friulana del Cinquecento, priva forse di forza ma corretta nella disposizione dei personaggi, è solo bisognosa di restauro (ne subì uno nel 1620 da parte di Giorgio Coda) per farsi apprezzare. Nipote di Francesco, Giovanni Floreani, modesto epigono della scuola friulana del Rinascimento, a giudicare dall'unica sua opera conosciuta, una ancona nella parrocchiale di Pavia di Udine, fece nel 1583 un'ancona lignea e un tabernacolo per la chiesa di S. Andrea a Pozzuolo e nel 1585 un tabernacolo per Sammardenchia: lavori tutti perduti. Della scultura lignea fatta per Sammardenchia da Giovanni Antonio Agostini, pittore e intagliatore udinese (operante soprattutto in Carnia) sono invece rimasti due angeli, oggi incastonati nel grande altare tardo rinascimentale (proveniente da Venezia) addossato alla parete di fondo della parrocchiale. Al Seicento risalgono alcuni dipinti di conosciuti pittori udinesi. Nella chiesa di Carpeneto, scrive Giovanni Battista de Rubeis (ca. 1773), «la Palla maggiore, ch'è l'Assunta della Vergine con li Apostoli che circondano il Sepolcro, e con una gloria d'Angioli che circondano l'Assunta» è opera di Innocenzo Brugno, pittore di cui non si conoscono finora molte opere, ma che godette di buona fama tra Cinque e Seicento (morì nel 1630) tanto da vedersi affidare commissioni di lavoro anche dai Luogotenenti. Lo stesso de Rubeis scrive che la pala fu ritoccata da Eugenio Pini. Le condizioni attuali del dipinto, assai deperito e scarsamente visibile per essere stato relegato subito dietro l'altare maggiore, non permettono giudizi sicuri: gli Apostoli della parete inferiore paiono tuttavia possedere i caratteri del Brugno, mentre l'Assunta sembrerebbe rifatta dal Pini. Quest'ultimo pittore, che lavorò in più riprese a Pozzuolo e Carpeneto e che spesso viene nominato come «l'Eugenio pittore di Udine", ha lasciato infatti una quasi identica figura di Assunta in una pala del Duomo di Gemona.

L'Altare maggiore
Parrocchiale
Sammardenchia

Alla stessa epoca del dipinto del Brugno appartiene anche un grande quadro della parrocchiale di Pozzuolo con S. Andrea e quattro Santi che reca la data 1615 e riflette alla lontana i modi di Palma il Giovane, ma più ancora quelli dei pittori Secante e dello stesso Brugno: figure corpose, grossolane prive di piacevolezza. Il Masutti lo vuole eseguito da Giorgio de Honestis, che a suo dire compare in un documento d'archivio come autore e restauratore, ma di Giorgio Onesti la letteratura artistica friulana (per adesso almeno) non fa menzione. Due i dipinti attribuibili ad Eugenio Pini (1600-1654), pittore che al principio del XVII secolo ancora guarda alla poetica rinascimentale del Pordenone: la Madonna della Cintura, S. Agostino e S. Monica nella parrocchiale di Pozzuolo del 1645 circa e l'Assunzione della Madonna nella cappella Masotti: entrambi sono da annoverarsi tra quelli meno riusciti del maestro per povertà di impaginazione e di esecuzione e per il colore sordo. Andranno piuttosto ricordati, nello stesso secolo, un quadretto nella chiesa di Sammardenchia con l'Educazione della Vergine che riflette, involgariti, i modi del Carneo (nella scheda del Centro di Catalogazione di Passariano è tuttavia ritenuto ottocentesco) ed una pala d'altare, già nella parrocchiale di Cargnacco ed ora nel Palazzo Arcivescovile di Udine, con la Madonna con Bambino e i Ss. Michele, Giustina, Antonio abate e Marco.

Eugenio Pini
La Madonna della Cintura
S. Agostino e S. Monica
Pozzuolo
Parrocchiale

Pare opera di Gio. Giuseppe Cosattini, canonico udinese e pittore tra i migliori dei Seicento friulano, seguace del Padovanino, chiamato come ritrattista alla corte di Vienna, la cui abilità traspare a sufficienza nella disposizione alla veneta delle figure, nell'elegante, raffinato e morbido chiaroscuro delle figure, in ispecie la S. Giustina. nel calibrato gioco di pieni e vuoti. Relativamente al Seicento, nei registri dell'archivio parrocchiale di Carpeneto si riscontrano con frequenza nomi di sconosciuti pittori, come Giorgio e Giovanni Pietro Coda di Udine, (e se fosse di uno dei due il dipinto attribuito al Brugno?) o di altro appena tolto dall’anonimato, Giovanni Pietro Fubiaro (attivo anche nella vicina Mortegliano). Non è tuttavia possibile attribuire loro alcuna delle opere rimaste: ma è certo che dall'entità dei pagamenti, la pala di Giorgio Coda documentata al 1635 e non più esistente (a meno che non si tratti del dipinto palmesco con S. Elena e Santi), doveva essere di bella dimensione. All'inizio del secolo seguente viene chiamato a Pozzuolo Giulio Quaglio, pittore della Val d'Intelvi nel Comasco dal 1692 residente in Udine, personalità di spicco nel panorama artistico friulano barocco, autore di affreschi nei maggiori palazzi nobiliari di Udine (della Porta, Strassoldo, Daneluzzi, di Maniago, Antonini) oltre che nella cappella dei Monte di Pietà e nella chiesa di Santa Chiara. La sua pittura facile e discorsiva, esuberante nelle forme ma provinciale e greve nel colore, debitrice ad un tempo della grande pittura emiliana del Seicento e di quella veneta della fine del Cinquecento, dovette essere apprezzata anche dagli abitanti di Pozzuolo, che lo vollero a decorare le chiese di S. Andrea e di S. Martino. Ma dei suoi lavori, testimoniati nei documenti dal 1700 al 1701, non resta più traccia per essere stati in seguito gli edifici distrutti. Sono invece ancora visibili, anche se molto deperiti, gli affreschi che il tedesco Martino Fischer condusse nel coro della parrocchiale di Pozzuolo negli anni 1709-1711: questa parte della chiesa, nella ricostruzione dell'edificio operata da Andrea Scala nel XIX secolo, fu infatti salvata ed ora funge da atrio nella nuova parrocchiale. Entro una modesta decorazione a stucco, ben lontana dalla festosa piacevolezza di quella che racchiude le pitture udinesi del Quaglio, si scorgono la Trinità, gli Evangelisti (Giovanni, Matteo e Luca) e tre profeti in monocromo nella cupola e due Dottori della chiesa (Girolamo e Gregorio) nei pennacchi. Pitture molto restaurate, e quindi svilite nel colore e nella forma: già in precedenza, tuttavia, il Fischer -che si mostra seguace del Quaglio, senza però esserne l'erede - aveva evidenziato i suoi limiti nei due lavori udinesi che gli si conoscono, gli affreschi del salone centrale del palazzo Antonini (ora Banca d'Italia) ed una pala d'altare nella chiesa di S. Quirino. Ancora nomi di sconosciuti nel registri parrocchiali del Settecento: Giovanni Maria Tavellio (1699), Francesco Signorelli (1717, 1718), Andrea Brunelleschi (1735), Stefano Raunis (1780), Giuseppe Riccioli (1780), Giacomo Bertolini (1787-1791) e quelli appena un po' più conosciuti di Francesco Colussi (1786) e Domenico Molinari (1808-1822): impegnati, tutti, in lavori di poco conto, come del resto Vitale Billia autore dell'insignificante paletta della Trinità (Pozzuolo, parrocchiale) del 1744. Ad alcuni di questi artisti è tuttavia probabile spettino i tanti dipinti in cerca d'autore ora conservati nella parrocchiale o nella canonica di Pozzuolo, in parte però provenienti dal lascito Gradenigo e quindi non eseguiti in loco. Ricordiamo la debole Sacra Famiglia con S. Antonio (malamente attribuita al Cosattini dal de Rubeis), un bel quadretto dai colori stesi in forma garbata e gradevole, raffigurante i Ss. Crispino e Crispiniano, protettori dei calzolai, di notevole rarità iconografica, la Nascita del Bambino Gesù e l'Adorazione dei Magi con evidenti prestiti rinascimentali, le tre tele della Passione di Cristo (Cristo deriso, Cristo flagellato, Cristo cade sotto la croce), traduzione pittorica violenta e scorretta ma non priva di suggestione (forme ampie e dilatate, colori caldi) di qualche stampa nordica. Anche il quadretto con la Cena in casa di Simone chiaramente dovuto ad un pittore popolaresco, è ricco di citazioni colte e si fa apprezzare per i tanti particolari che animano la scena, la folla dei personaggi, le architetture in prospettiva, gli abbigliamenti. Ha un nome, ma scarsi pregi, la pala della Madonna del Rosario della parrocchiale di Carpeneto, dipinta nel 1769 da Carlo Savano (o Savoni, come scrive G.B. de Rubeis) pittore di Mortegliano allievo di G.B. Ruggeri; è composizione slavata con figure perse nel vuoto.

Migliori, se gli appartengono, i quindici riquadri con i Misteri del Rosario, cui giova il piccolo formato: tocchi veloci di vivaci colori, corretta disposizione e dinamismo dei personaggi, pur nella tradizionale iconografia, li rendono apprezzabili. Migliore, anche la Crocifissione nella canonica di Pozzuolo, in cui Savano pare ammorbidire la plasticità esasperata del maestro.

Considerato il fatto che sono andati perduti gli affreschi eseguiti da Pietro Venier di Udine, nella sacrestia della parrocchiale di Pozzuolo e che quelli da lui condotti a Terenzano sono oggi ridotti a due rovinatissime figure dei Ss. Pietro e Paolo montate su pannello ed esposte in chiesa a mo' di quadro (va ricordato che il pittore, vissuto tra il 1673 ed il 1737, ha affrescato le chiese di S. Giacomo e S. Cristoforo a Udine, e anche le chiese della SS. Trinità a Mortegliano e di S. Antonio abate a Flambro), la pittura legata al nome dell'artista di maggior prestigio del Settecento è la pala dell'altare di S. Vincenzo della chiesa di Carpeneto raffigurante La predica di S. Vincenzo de'Paoli (così dicono i documenti di commissione, non S. Vincenzo Ferrerí, come è stato scritto di recente). E' datata 1758 ed è firmata Joh BAPT./Toletto Venetus ciò che fa pensare subito al Tiepolo, essendo per l'appunto «Toletto» la contrazione di quel «Tiepoletto» con cui era affettuosamente chiamato il grande pittore veneziano: ed in effetti, in occasione del restauro effettuato dalla Soprintendenza alcuni anni or sono non si è mancato di rilevare l'accentuata impronta tiepolesca del dipinto. Ma l'opera non è altro che la copia eseguita dal pittore Giovanni Battista de Rubeis, nobile udinese di un rovinatissimo quadro del Tiepolo che in originale gelosamente custodiva nella sua abitazione. L'anno 1758 non si riferisce dunque all'esecuzione del dipinto di Carpeneto, databile a poco dopo il 1770 (il de Rubeis era nato nel 1743), ma all'opera stessa del Tiepolo (il quale nel 1759, com'è noto, insieme con il figlio Giandomenico dipinse nella chiesa della Purità di Udine).

L'educazione della Vergine
Quadretto
Parrocchiale
Sammardenchia

Anche se l'esecuzione di G.B. de Rubeis è alquanto sgraziata (soprattutto nel ritratto del Santo), vanno ovviamente notate la buona disposizione dei personaggi, la notevole forza del colore e l'attenzione ritrattistica. Come in altri comuni del Friuli, anche a Pozzuolo il Settecento si avvale di considerevoli prodotti d'arte scultorea. Caduta ormai in disuso, a Udine e dintorni almeno, ma anche nel centri maggiori, la scultura in legno che pure ancora nel secolo precedente si era espressa in termini di spettacolarità pur senza brillare per novità inventiva (e c'è da rimpiangere il tanto perduto o distrutto di cui parlano i documenti), sull'esempio di Venezia prende piede la scultura in marmo bianco di Carrara o, per gli altari più costosi, in marmi policromi. Ad accelerare il processo di rinnovamento del gusto dopo la metà del Settecento, contribuisce in larga misura la comparsa sul mercato friulano, a prezzo accessibile, di un cospicuo numero di altari veneziani, statue ed arredi provenienti dalla soppressione di istituti religiosi e incameramento dei beni ecclesiastici operato dalla Serenissima. Da qui l'impronta barocca assunta dalle nostre chiese nella sua accezione più propriamente veneta, lontana e dall'enfasi trionfalistica e dalla ridondante magniloquenza esteriore che si accompagnano a tanta parte della produzione dell'epoca. La scultura veneziana del Settecento, abbandonati i ruoli di primo piano e ristabilita la sua vera funzione decorativa in rapporto all'architettura, trova ancora autentici talenti capaci di vivere in modo originale e profondo le fantasie del rococò, i fermenti del nascente realismo, le severe idealità del neoclassicismo. il Friuli, privo di una scuola autonoma locale (quella nata nel Settecento avanzato si limiterà a tradurre in un linguaggio debole e fiacco le migliori espressioni del verbo lagunare) risentirà più o meno direttamente di tale clima culturale, favorito in ciò dalla presenza stessa di scultori di fama consacrata, chiamati dal facoltosi committenti friulani a realizzare le opere di maggior prestigio ad abbellimento di edifici sacri e profani. Per quanto riguarda gli artisti locali, dediti in prevalenza all'altaristica, nel contempo architetti, scultori, lapicidi, progettisti ed esecutori delle proprie opere, essi sono in gran parte ancora da scoprire. li gran fervore di iniziative tese ad abbellire i luoghi di culto porta nel XVIII secolo ad un consistente rinnovo dell'arredo delle chiese di Pozzuolo. Vengono eretti, in tempi diversi ma sempre lunghi per la necessità di reperire fondi sufficienti a garantire la fattibilità di imprese rese complesse dal coinvolgimento di vari artigiani ed artisti, i grandi altari, che si adornano di statue acquistate talvolta direttamente a Venezia, capitale della Serenissima Repubblica ma anche luogo primario di riferimento per l'arte (così che a Venezia viene ordinata anche molta parte dell'oreficería sacra). Nel 1717 si dà inizio alla costruzione dell'altare maggíore della chiesa di S. Andrea a Pozzuolo, affidata ad Antonio Gratij tagliapietra di Venezia, ma al tempo abitante in Udine, che in zona si era già fatto conoscere per la fattura del bell'altare della chiesa di Nespoledo, e che avrebbe avuto in seguito pure la commissione per altari in S. Pietro, in San Giacomo e nel duomo di Udine. Realizzato con marmi provenienti anche da località lontane (e ritirati, a cura della chiesa di Pozzuolo, al porto fluviale di Cervignano) consta di un ampio basamento a sviluppo orizzontale, mosso da specchìature in marmi policromi, geometrizzanti nelle parti laterali ed arricchite da un barocco motivo a foglia al centro. Nell'alzata, l'elegante tabernacolo a tempietto, pagato nel 1730 (e stimato dallo scultore G.B. Cucchiaro l'anno seguente) con statuine dello stesso Gratij. A completare l'altare (rimontato con qualche lieve modifica nell'edificio ottocentesco e in seguito tenuto presente per quello di Mortegliano nel XX secolo) vengono acquistate a Venezia nel 1741, tramite i Manin, due pregevoli statue, un S. Pietro scolpito da Giuseppe Torretti, il maggior scultore veneto del Settecento, che lasciò in Friuli, tra l'altro, opere insigni nel duomo di Udine, nelle cappelle Manin di Udine e di Passariano, ed un S. Paolo dovuto a Paolo Groppelli, veneziano, che ripete quasi quello eseguito per l'altare maggiore della parrocchiale di S. Giorgio al Tagliamento dai fratelli Giovanni Battista e Francesco Groppelli intorno al 1730. Sono statue di grande dimensione, ma eleganti e raffinate nell'esecuzione, intense nell'espressione e capaci di forte impatto visivo: importantissime, infine, per la compressione della poetica dei due scultori. Il S. Pietro, infatti, è l'ultima opera conosciuta di Giuseppe Torretti, che morì nel 1743. Nello stesso periodo si registra la presenza di altaristi e scultori friulani, segnatamente Gio. Battista Cucchiaro ed i fratelli Parlotti.

Giuseppe Torretti
San Pietro
Parrocchiale
Pozzuolo

Al Cucchiaro si devono l'altare di S. Valentino nella parrocchiale di Pozzuolo e quello del Rosario nella chiesa di Carpeneto, opere entrambe dalle complesse vicende sia nella fase costruttiva (con pietre che dovettero essere ritirate a Udine, a Muscoli, ed in altri luoghi del Friuli: i documenti ricordano teorie di carezzi, cioè di carri, adoperati allo scopo) che negli anni a seguire. L'altare di S. Valentino, smembrato nell'Ottocento all'epoca della costruzione della nuova parrocchiale, venne rimontato con un utilizzo solo parziale dei pezzi originali, con altro titolo (ora nella nicchia c'è la statua del Sacro Cuore) e con la commistione di parti provenienti da altari diversi. Costituito a partire dal 1728 (anno in cui si ottenne il decreto per l'esecuzione) e completato nel 1730-31, era piuttosto modesto nelle dimensioni e nella forma, solo abbellito dalla mensa con il Martirio di S. Valentino in accentuato bassorilievo (composizione affollata, priva di profondità, sviluppata in senso orizzontale).

Gio. Battista Cucchiaro
Il Marturio di San Valentino
Parrocchiale
Pozzuolo

L'Altare del Rosario di Carpeneto, che data a qualche anno più tardi, al 1741 (ma ancora nel 1746 ci si recava a Muscoli per ritirare pietre per la sua erezione), ha la struttura semplice di tanti altari della provincia veneta ed è mosso solo nel fastigio, con archi spezzati, volute, e tre statue di angeli. Alla metà dei Settecento Carpeneto, la cui chiesa era stata costruita a partire dal 1732 su progetto del «capomistro» Giovanni Battista Roia, si dota di un altare maggiore, con l'impiego di «cantoni» fatti da Francesco Toffoletti e lastre di marmo procurate presso un certo sig. Mistruzzi. Le statue degli angeli Michele e Gabriele che fanno bella mostra di sè ai lati, e che nelle luminose superfici, nel mosso panneggio, nella ponderazione delle masse e nell'intensità espressiva dimostrano le indubbie capacità dell'ignoto autore, furono acquistate nel 1770 a Venezia. Nello stesso anno 1770 veniva intanto contattata la «ditta» Pariotti di Udine per l'altare di S. Vincenzo da Paola da erigersi nella stessa chiesa. 1 documenti degli anni seguenti chiariscono che all'impresa si dedicarono Adeodato e Michele Pariotti; ma altri due membri della famiglia furono in seguito contattati dalla chiesa, Vincenzo che nel 1785 procurò la pietra piasentina che serviva per gli stipiti delle finestre ed un Pariotti non specificato che scolpì Il lavamani di pietra in sacrestia nel 1789. Fatto nel 1774 (finito di pagare nel 1777-79), l'altare di S. Vincenzo testimonia il gusto artistico dell'attiva famiglia Parlotti, le cui personalità di maggiore spicco furono Simone come architetto e Adeodato (o Diodato) come scultore: a loro si devono infiniti lavori nel Friuli udinese e goriziano (per restare in zona, a Lestizza, Rivolto, Rivignano) apprezzabili per le forme sobrie e funzionali, per l'impiego di marmi possibilmente policromi, per la gradevole fusione di architettura e scultura in un unico insieme. E' quanto compare in questo altare, di cui andrà quanto meno ammirata la mensa per due bel mazzi di fiori in marmo di Carrara, un paio di putti aggraziati ed alcune volute sinuose ed eleganti.

San Michele, particolare dell'ancona di Domenico da Tolmezzo
Parrocchiale
Carpeneto

Solo per il nome del suo artefice, quel Giuseppe Mattiussi, che si annovera tra i migliori scultori friulani della fine del Settecento, andrà ricordato un piedistallo in marmo, eseguito nel 1789 per la chiesa di Carpeneto: lo stesso Mattiussi risulta però pagato dalla chiesa di Pozzuolo per lavori ben più importanti, cioè l'altare del Rosario (smembrato in seguito) costruito a partire dal 1790 (e finito di pagare nel 1804) in collaborazione con Francesco (fratello?) e le due statue di S. Domenico e di S. Rosa ora collocate in nicchie nell'atrio d'ingresso.

Particolare dell'altare maggiore
Parrocchiale
Carpeneto

A tutt'oggi ignoto è invece l'autore delle due statue dalla tormentata plasticità collocate sull'altare maggiore della parrocchiale di Sammardenchia, raffiguranti S. Leonardo, titolare della chiesa, ed il Beato Bertrando: sarà comunque da individuare tra gli scultori friulani del XVIII secolo.

S. Leonardo
Statua dell'altare maggiore
Parrocchiale
Sammardenchia

Alla fine del Settecento Pozzuolo rinnova anche i mobili della chiesa, in particolare l'armadio di sagrestia, a sostituire il precedente fatto nel 1718 dal marangone udinese Nicolò Vida, ed i confessionali. Il tutto è affidato all'artigiano del momento, il cividalese Matteo Deganutti, ebanista e intagliatore, che porta a termine l'opera (1764-1766) secondo modelli ormai consolidati (a Remanzacco, ad esempio). Carpeneto si rivolge invece allo sconosciuto Giuseppe Zannuta, degnaruolo di S. Maria di Sclaunicco, per fare un nuovo confessionale nel 1803 e per rimettere a posto, subito dopo, la cantoria del coro; nel 1870 poi viene ultimato il mobile di sacrestia, imponente, pregevole ed elegante lavoro firmato «Opera dai falegnami Leonardo Verona, Francesco Paulini e dall'in tagliato re Tobia Bernardis nel 1870. Per cura del Fabbriciere P. Giuseppe Tomat, col provento di offerte della popolazione».

Leonardo Verona, Francesco Paulini e Tobia Bernardis
Armadio di Sacrestia
Parrocchiale
Carpeneto

Le vicende del secolo XIX interessano soprattutto il campo dell'architettura, in particolare della chiesa parrocchiale di Pozzuolo, rifatta su progetto del 1853 di Andrea Scala, noto architetto che si specializzò in edifici teatrali acquisendo fama oltre i confini d'Italia (in Friuli il suo lavoro più conosciuto è forse il duomo di Mortegliano), e della chiesa parrocchiale di Terenzano, costruita dall'architetto Girolamo D'Aronco (padre del celebre Raimondo), eclettico artista che riempì il Friuli di edifici sacri nei quali ripropone modelli classici, romanici, gotici o rinascimentali indifferentemente.

Ultima cena
Affresco di G. Monai
Parrocchiale
Terenzano

Per quanto concerne la pittura, vi è poco da ricordare se non i quadretti della Via Crucis della parrocchiale di Zugliano, dipinti con mestiere e con colori forti dall'interessante artista udinese Domenico Paghini (1778-1850), sacerdote, maestro di musica e pittore, autore di opere sacre in diverse chiese del Friuli e di interi cicli d'affreschi in palazzi udinesi, tra qui quello di palazzo Polcenigo-Garzolini ora sede dell'Istituto di Toppo-Wassermann, e la Via Crucis della parrocchiale di Carpeneto, eseguita con rigida osservanza dell'iconografia tradizionale da Lorenzo Bianchini (1825-1892), pittore e decoratore fecondissimo cui tra l'altro si deve il ciclo di affreschi della navata e del presbiterio del Santuario della Beata Vergine delle Grazie di Udine. Limitata al modesto affresco dell'ancona di piazza denominata «Quo Vadis», firmato e datato 1861 è la presenza in Pozzuolo di Rocco Pitacco, pittore udinese di gran moda nell'Ottocento (nacque a Udine nel 1822 e morì a Vicenza nel 1898), noto soprattutto per elaborati cicli d'affreschi a soggetto storico o biblico nelle chiese di Talmassons e Barbana in Friuli, nella Basilica di Monte Berico ed in S. Lucia a Vicenza. Il Novecento si apre all'insegna di un pittore locale, Domenico Failutti di Zugliano (1872-1923). Allievo tra i migliori della Scuola di disegno della Società Operala di Udine, come ricorda l'acuto cronista d'arte del secondo Ottocento e lui stesso pittore Antonio Picco, frequentò poi l'Accademia di Venezia maturò un linguaggio di gusto classico e, grazie all'insegnamento di Ettore Tito, una forte predilezione per la ritrattistica di timbro quasi fotografico. Visse a Vienna, a Budapest, a Belgrado e fu pittore di corte della famiglia reale del Montenegro a Cettigne; riscuotendo ovunque successo con i suoi ritratti. Così anche in Argentina e in Brasile dove fu particolarmente apprezzato dalle comunità italiane ivi residenti. Si dedicò inoltre all'insegnamento, negli anni giovanili, ed alla pittura sacra. Decorò infatti nel 1902 la chiesa di Buttrio (Evangelisti nel coro e due grandi affreschi sulle pareti) e alla fine del 1922 dipinse nel soffitto della parrocchiale del paese natale la Caduta degli angeli ribelli, interessante copia dell'affresco del Tiepolo all'Arcivescovado di Udine. Dell'entusiasmo che seppe suscitare con la sua pittura è testimone il libretto edito in Udine nel 1923 poco prima che il pittore - giovane ancora - morisse: Ilpittore prof cav Domenico Failutti. Ricordando la vita, l'opera e i trionfi dell'artista insigne. Il 1923 è anche l'anno del modesto affresco che ricorda l'anno Eucaristico nel soffitto della navata della parrocchiale di Carpeneto, firmato dal gemonese Giovanni Fantoni, mentre al 1939 risale la decorazione a fresco di Giacomo Monai di Nimis nella chiesa di Terenzano, malamente ripassata da R. Cori una decina di anni fa. Nel genere, è invece un discreto ciclo d'affreschi quello che copre pareti e volta del coro (e soffitto della navata) nella parrocchiale di Sammardenchia, eseguito nel 1947 dal carnico Giovanni Moro (1877-1949). Opere tra le ultime dei pittore, da considerarsi uno dei migliori interpreti dell'arte sacra del Novecento in Friuli, tradizionale e un po' stantia nell'invenzione (in particolare fiacca nei due quadroni delle pareti del coro con il Cristo buon pastore e la Resurrezione), si riscatta In virtù di un colore intenso (anche se poco vivace), steso con pennellata veloce e sicura. Artista locale è Tranquillo Marangoni (Pozzuolo del Friuli 1912 - Gemona 1992), da annoverarsi tra i maggiori esponenti della xilografia del Novecento in Europa.

Tranquillo Marangoni
La Villa Manin di Passariano
Xilografia dalla cartella "Friuli" (1951)

Incisore dal personalissimo linguaggio espressivo, aspro e forte, sublimando la tecnica dell'incisione su legno ha di fatto nobilitato un'arte antica, ponendosi - in virtù delle novità tecniche ed artistiche insite nella sua vasta produzione come riconosciuto caposcuola. Molti dei suoi lavori, talvolta anche di piccole dimensioni, ex-libris, capilettera, biglietti, francobolli, si conservano numerosi in Comune e presso privati cittadini (oltre che nelle raccolte d'arte in regione e nel mondo). Il discorso sulla pittura e sulla scultura, sull'arte quindi, si chiude, com'è giusto, con il Tempio di Cargnacco, l'edificio sorto su progetto dell'architetto Giacomo Della Mea (19 5 5) che riecheggia le strutture dell'EUR di Roma. La decorazione interna a mosaico con la Pietà, l'epopea degli Alpini, I prigionieri di guerra, ecc. è stata eseguita dalla Scuola Mosaicisti di Spilimbergo su cartoni del pittore Fred Pittino; altri mosaici appartengono a D. Merlin; l'altare maggíore, ideato da Della Mea, è arricchito da quattro pannelli in bronzo dello scultore Max Piccini, autore anche delle Stazioni della Via Crucis (1958). Più recenti le grandi ceramiche; Isbuscenskí (realizzata dal faentino Giancarlo Piani su disegno di Michele Calliussi), la julia sul Don (di Andrea Paron), Nikolajevka (di Enore Pezzetta) e il bagno a Orankj (dello stesso Pezzetta), mentre le coloratissime vetrate sono dovute ad Alessandro Ricardi di Netro (La Madonna) e ad Arrigo Poz (La distribuzione delpane nel lager; La Messa nel campo di prigionia di Suzdal. Davanti ai due amboni sono stati collocati bassorilievi in bronzo dello scultore bellunese M. Facchin e sopra le vetrate è stato inaugurato, nel 1989 un affresco (di Michele Galliussi) in ricordo di don Giovanni Mazzoni. L'intento didascalico ed una retorica sin troppo palesi impediscono all'arte di esprimersi in un canto liberatorio, in questo sacrario di Cargnacco che raccoglie le memorie dolorose di un popolo abituato nei secoli alla sofferenza.

Note bibliografiche

L'altare ligneo di San Michele a Carpeneto,
Udine 1985.

G. BERGAMINI
Gaspare Negro pittore architetto,
Trieste 1969.

G. BERGAMINI
Artisti friulani contemporanei. Giovanni Moro, in "La Madonna delle Grazie" di Udine.
3 marzo 1989, pp. 46-47.

G. BERGAMINI
Friuli-Venezia Giulia. Guida artistica
Udine 1990.